La chemioterapia riveste un ruolo importante nella strategia terapeutica dei tumori ovarici. Questa può avere diverse finalità, che dipendono:

  • dalla diffusione della malattia, cioè se la malattia è localizzata o avanzata;
  • dal particolare momento della storia naturale della patologia stessa, cioè se la malattia è alla prima diagnosi o se siamo in presenza di una recidiva.

COSA SI INTENDE CON “CHEMIOTERAPIA ADIUVANTE”

La dottoressa Monika Ducceschi spiega: “La chemioterapia “adiuvante” ha una finalità preventiva. Viene prescritta quando il tumore è stato asportato radicalmente con la chirurgia e ha il compito di ridurre il rischio che la malattia si ripresenti, sia localmente che a distanza.”
La chemioterapia adiuvante è prevista sia negli stadi iniziali con alto rischio di recidiva che negli stadi avanzati dei tumori ovarici:

  • negli stadi avanzati  la chemioterapia è sempre affiancata alla chirurgia
  • negli stadi iniziali, invece, il trattamento chemioterapico è riservato solo alle pazienti affetta da neoplasie che per le loro caratteristiche biologiche evidenzino un alto rischio di recidiva.

COSA SI INTENDE CON “CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE” O “DI INDUZIONE”

La terapia neoadiuvante è quella che viene prescritta quando la malattia viene diagnosticata nelle fasi più avanzate“, continua la dottoressa Ducceschi. “Non sempre è possibile eseguire il trattamento chirurgico contestualmente alla diagnosi. La chemioterapia viene quindi somministrata con l’intento di ridurre la massa tumorale presente rendendo possibile l’intervento chirurgico.” In questi casi di solito vengono effettuati tre cicli di chemioterapia prima della chirurgia e tre cicli dopo l’intervento chirurgico.

LA CHEMIOTERAPIA NELLA MALATTIA NON ASPORTATA COMPLETAMENTE O INOPERABILE

Nel caso in cui non sia possibile asportare in maniera completa la neoplasia, la chemioterapia somministrata dopo la chirurgia ha il compito di aumentare l’intervallo di tempo necessario alla progressione della malattia. “Se il tumore si è diffuso al fegato o comunque al di là della regione addominale la chemioterapia è il trattamento di prima scelta”, afferma la dottoressa Ducceschi. “In questo caso il suo obiettivo è quello di ridurre il carico tumorale, alleviare i sintomi e migliorare la qualità della vita delle pazienti.”

IN COSA CONSISTE LA CHEMIOTERAPIA?

La chemioterapia consiste nella somministrazione di farmaci antitumorali che, associati alla chirurgia, hanno l’obiettivo di guarire o ritardare il ritorno della malattia, migliorando la sintomatologia e aumentando la sopravvivenza delle pazienti.
Nel caso dei tumori ovarici la chemioterapia viene somministrata per via endovenosa. Attualmente il regime di chemioterapia standard come primo approccio chemioterapico prevede l’associazione di due farmaci: carboplatino e paclitaxel.
Il trattamento chemioterapico viene praticato ogni tre settimane, per complessive sei somministrazioni, in genere in day-hospital.

LA CHEMIOTERAPIA NEI CASI DI RECIDIVA DEI TUMORI OVARICI

Uno dei fattori più importanti per valutare il trattamento nelle fasi avanzate è la sensibilità al platino, valutata come tempo intercorso fra l’attuale recidiva di malattia e l’ultima somministrazione di regimi chemioterapici contenenti platino.
Le pazienti con tumori ovarici possono essere divise in tre gruppi, a seconda della loro sensibilità al platino:

  • pienamente platino-sensibili: quando la neoplasia progredisce dopo più di 12 mesi dalla fine della chemioterapia. Per queste pazienti c’è la possibilità di ripetere il trattamento con regimi contenenti platino con buona possibilità di riposta.
  • parzialmente platino-sensibili: quando il tumore progredisce in un intervallo di tempo compreso fra i 6 e i 12 mesi. Queste pazienti possono essere trattate con regimi contenenti platino.
  • platino-resistenti: nei casi in cui la recidiva insorga a meno di 6 mesi dall’ultima somministrazione di platino, o addirittura progredisca entro un mese o in corso di chemioterapia con platino. In questi casi le pazienti sono candidate a monoterapia con farmaci come la doxorubicina liposomiale, il taxolo, la gemcitabina o il topotecan.

Altri parametri che vengono tenuti in considerazione nella scelta delle terapie successive sono le condizioni della paziente, le patologie associate e le tossicità residue dai pregressi trattamenti.

EFFETTI COLLATERALI DELLA CHEMIOTERAPIA

Le reazioni avverse in corso di chemioterapia possono essere di entità variabile in relazione al tipo di trattamento somministrato e da soggetto a soggetto. L’utilizzo delle terapie di supporto che si sono rese disponibili negli ultimi anni e una maggior attenzione nei confronti della qualità di vita dei pazienti hanno reso i trattamenti chemioterapici maggiormente tollerabili rispetto al passato.
Gli effetti collaterali della chemioterapia più comunemente utilizzata nel trattamento dei tumori ovarici sono i seguenti:

  • nausea e vomito
  • alterazioni del gusto e perdita dell’appetito
  • irritazione della bocca
  • caduta dei capelli
  • formicolii alle punte delle mani e dei piedi
  • alterazioni della regolarità intestinale
  • maggior rischio di sviluppare infezioni
  • anemia
  • diminuzione del numero di piastrine
  • reazioni allergiche
  • stanchezza

LE TERAPIE MIRATE: COSA SONO E COME AGISCONO

La conoscenza dei meccanismi molecolari alla base dello sviluppo, della crescita e della diffusione del cancro ha permesso di sviluppare le cosiddette “terapie mirate“. Continua la dottoressa Ducceschi: “queste terapie, chiamate anche “farmaci intelligenti” o “terapie a bersaglio molecolare” agiscono in maniera selettiva su alcuni dei processi cellulari che regolano lo sviluppo del cancro.”

FARMACI ANGIO-GENICI NELLA TERAPIA DEL TUMORE OVARICO

Per quanto riguarda il tumore ovarico negli stadi più avanzati di malattia è possibile associare allo schema tradizionale di terapia con carboplatino e taxolo, un farmaco anti-angiogenico. “Come dimostrato, questo farmaco, chiamato Bevacizumab, combatte la formazione da parte della neoplasia di una propria rete vascolare”, afferma la dottoressa Ducceschi. “Il Bevacizumab viene somministrato per via endovenosa inizialmente in associazione al trattamento chemioterapico con carboplatino e taxolo per poi proseguire come terapia di mantenimento fino a un massimo di 22 somministrazioni complessive in caso di terapia adiuvante o fino a progressione di malattia in caso di malattia recidiva.”

Gli effetti collaterali più frequenti in corso di bevacizumab sono:

  • aumento della pressione
  • stipsi
  • trombosi
  • modificazioni dell’attività cardiaca
  • temporanea riduzione della produzione di cellule ematiche da parte del midollo osseo
  • alterazione della funzione renale

FARMACI PARP-INIBITORI: COSA SONO?

Come dimostrano numerose ricerche, assieme agli anti-angiogenici, i Parp-inibitori (l’acronimo deriva da poli-ADP ribosio polimerasi) rappresentano l’altra categoria di farmaci “biologici” cardine del trattamento del carcinoma ovarico. La dottoressa Ducceschi spiega: “la loro azione consiste nell’annullamento dei meccanismi di riparazione del Dna nelle cellule neoplastiche dell’ovaio, con la conseguente morte delle cellule malate. Questo spiega la particolare efficacia di questi farmaci nei casi in cui la malattia risulta provocata da una mutazione di uno o entrambi i geni Brca. Questa mutazione è pari al 20% delle nuove diagnosi.  Dal momento che queste alterazioni del Dna non sono presenti nelle cellule sane, l’azione di questi farmaci nei tumori epiteliali dell’ovaio è molto più selettiva rispetto a quella dei chemioterapici”. Attualmente in Italia sono disponibili: Olaparib per il trattamento delle pazienti affette da carcinoma ovarico con mutazione di BRAC1 e BRCA2 e  Rucaparib e Niraparib, prescritti a prescindere dalla presenza o meno della mutazione.
Questi farmaci si somministrano per via orale in maniera continuativa.
Gli effetti collaterali in corso di PARP1 sono i seguenti:

  • anemia
  • neutropenia
  • astenia
  • dolore addominale e ostruzione intestinale
  • nausea

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