terapie tradizionali oncologia

Le nostre terapie tradizionali offrono alla paziente del reparto Ginecologico Oncologico percorsi di screening, diagnosi differenziale, terapia farmacologica e non, e programmi di sorveglianza, personalizzati e mirati. Un approccio che unisce la valutazione dell’effetto delle terapie con la ricerca in laboratorio per garantire le migliori possibilità di cura.

Ogni giorno il 3% delle nuove diagnosi di tumore interessa pazienti di età inferiore ai 40 anni e le strategie terapeutiche prevedono spesso il ricorso a terapie e/o procedure chirurgiche che determinano infertilità e sterilità.
Questo aspetto sta assumendo un’importanza sempre maggiore, anche in considerazione dello spostamento in avanti dell’età della donna alla prima gravidanza, che soprattutto nei paesi occidentali nel 25% dei casi si verifica oltre i 35 anni.
È emersa quindi la necessità di sviluppare un percorso terapeutico riservato a donne con forte desiderio di gravidanza e con patologia oncologica genitale non avanzata, definito Fertility Sparing che può prevedere la sola chirurgia, terapia medica o la combinazione di entrambe. Le neoplasie ginecologiche che possono essere oggi approcciate in maniera conservativa sono: il carcinoma dell’endometrio stadio IA, il carcinoma della cervice stadio IA, IB, IIA, i tumori borderline dell’ovaio e i tumori germinali dell’ovaio.
Le pazienti vengono sottoposte ad un intervento chirurgico conservativo che asporta il tumore senza determinare una significativa riduzione del rischio di sopravvivenza o, come nel caso del tumore dell’endometrio, a terapia medica. Per ampliare le indicazioni al trattamento chirurgico conservativo può essere utile associare alla chirurgia la chemioterapia neoadiuvante e/o adiuvante. A volte, prima di un trattamento chirurgico e/o chemioterapico si può ricorrere all’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita (crioconservazione di tessuto ovarico, stimolazione ovarica e crioconservazione degli ovociti). In tutti i casi, deve essere un team di esperti (ginecologi oncologi, oncologo, anatomo-patologo e medico di PMA), previa corretta stadiazione della patologia mediante adeguate tecniche di imaging (ecografia, TC, RMN, PET) a valutare se esistono le indicazioni per una chirurgia o un trattamento medico conservativo. La donna deve essere ben consapevole che tale approccio è finalizzato all’ottenimento della gravidanza per via naturale o mediante PMA e che spesso dopo la gravidanza può esser necessario e/o indicato rimuovere chirurgicamente l’organo che si era ammalato per ridurre il rischio di una recidiva.

Il trattamento del carcinoma della cervice può prevedere diversi trattamenti quali la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia, inoltre per raggiungere la massima efficacia questi possono essere combinati tra loro. La scelta del trattamento dipende da vari fattori, tra i quali l’età e le condizioni generali di salute, ma soprattutto il tipo e lo stadio della malattia.

Secondo la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) per il tumore della cervice uterina si possono individuare 4 stadi:

Stadio 0 o carcinoma in situ
Si parla di Stadio 0 quando le cellule tumorali sono individuate solo a livello dello strato più superficiale della cervice.
Stadio I
Si tratta di tumori limitati al collo dell’utero; comprendono sia i tumori microscopici (IA) sia quelli più grandi, che possono essere visti anche ad occhio nudo (IB).
Stadio II
Il tumore in questo stadio ha invaso i tessuti più vicini quali la parte superiore della vagina (IIA) o il tratto iniziale delle le strutture che ancorano l’utero alla parete ossea della pelvi (parametri) (IIB).
Stadio III
Il tumore si estende ulteriormente con un coinvolgimento maggiore a livello della vagina (IIIA) o dell’intero tratto dei parametri o dell’uretere, con compromissione della funzione del rene (IIIB).
Stadio IV
Il Quarto Stadio identifica i tumori molto estesi con interessamento della parete della vescica o del retto (IVA) o che abbiamo dato metastasi in organi distanti (IVB).

La chirurgia

Il trattamento chirurgico del carcinoma della cervice uterina può andare (a seconda dello stadio della malattia e dei fattori di rischio patologici) da trattamenti conservativi di asportazione di un cono di tessuto cervicale (conizzazione) e asportazione completa del collo dell’utero (trachelectomia), all’isterectomia radicale classica e modificata (asportazione dell’utero con parte più o meno ampia dei tessuti intorno alla cervice), fino a interventi più invasivi che prevedono l’asportazone dell’apparato genitale insieme a vescica o retto.

L’approccio chirurgico prevede tre possibilità: la via laparotomica (incisione della parete anteriore dell’addome per accedere alla cavità addominale e agli organi in essa contenuti), la via laparoscopica ( accesso alla cavità addominale inserendo strumenti chirurgici miniaturizzati attraverso piccole incisioni) e la via endoscopica con approccio robotico.

La radioterapia

La radioterapia, che uccide le cellule tumorali con le radiazioni, costituisce il trattamento standard valido in caso di malattia localmente avanzata. In caso di fattori di rischio, alla radioterapia tradizionale cosiddetta a fasci esterni può essere associata la brachiterapia, una tecnica che consente di posizionare sorgenti radioattive miniaturizzate direttamente all’interno della vagina, nel tumore o nelle sue immediate vicinanze.

La chemioterapia

Una terza opzione per il trattamento del tumore della cervice è la chemioterapia: vengono somministrati per via endovenosa diversi farmaci contro il tumore, spesso combinati tra loro, tra i quali cisplatino, taxolo paclitaxel e l’antiangiogenetico bevacizumab.

Il nostro approccio al trattamento e alla cura del tumore maligno dell’ovaio è basato sulla valutazione di ogni singolo caso clinico in modo multidisciplinare, cioè un approccio che prende in considerazione tutti gli aspetti della patologia e coinvolge più figure professionali (chirurghi, oncologi medici, anatomopatologi, radioterapisti, radiologi, psico-oncologi ecc). Le opzioni terapeutiche disponibili per il trattamento del tumore ovarico, a seconda dello stadio della malattia, sono una combinazione di:

  • chirurgia
  • chemioterapia

La chirurgia

La chirurgia rappresenta il trattamento di prima scelta del tumore ovarico e, negli stadi iniziali, ha come obiettivo quello di ottenere un’accurata valutazione dell’estensione della malattia ovarica nella cavità addominale e la sua completa asportazione. Le procedure, in questi casi, devono comprendere:

  • lavaggio della cavità addominale per una valutazione citologica (l’esame delle cellule al microscopio),
  • l’asportazione dell’utero, delle tube e delle ovaie (negli stadi iniziali in casi selezionati è tuttavia possibile eseguire una chirurgia conservativa dell’utero e dell’ovaio non ammalato),
  • asportazione dei linfonodi della pelvi e della regione lombo-aortica, e dell’omento (una borsa di tessuto adiposo che ricopre le anse dell’intestino).

Occorre anche effettuare una serie di biopsie random in diverse sedi se la malattia non è visibile a occhio nudo. L’asportazione dell’appendice viene eseguita nei casi di tumore ovarico a istologica mucinosa e quando è chiaramente coinvolta.

Negli stadi avanzati la chirurgia riveste un ruolo di primaria importanza e ha come obiettivo quello di asportare tutta la malattia macroscopicamente visibile quale che sia la sua localizzazione. In questi stadi pertanto l’intervento chirurgico può comprendere diversi tempi chirurgici come la resezione dell’intestino, l’asportazione della milza o ancora l’asportazione di tratti diversi del peritoneo (peritonectomia).

La “citoriduzione chirurgica”, ovvero l’asportazione completa del tumore, è di fondamentale importanza, dal momento che è il fattore maggiormente correlato a un aumento della sopravvivenza delle pazienti. È quindi sempre più importante, che l’intervento chirurgico venga eseguito in centri di riferimento oncologico, dove ci sono team chirurgici esperti con la necessaria esperienza per poter eseguire tale intervento con i risultati migliori.

La chemioterapia

Il tumore dell’ovaio viene considerato un tumore chemio sensibile, ovvero ben responsivo alla chemioterapia sistemica (i farmaci vengono assunti per bocca in forma di compresse, oppure iniettati per via endovenosa o intramuscolare), fatta eccezione per determinati istotipi.

La chemioterapia standard si basa sull’utilizzo di un sale del platino (di solito il carboplatino) in associazione al taxolo generalmente per 6 cicli (un ciclo ha una durata di qualche ora) ogni tre settimane. L’aggiunta di farmaci biologici, come il bevacizumab (ad attività antiangiogeniche, cioè che impedisce la formazione di vasi sanguigni che possano alimentare il tumore) è prevista negli stadi avanzati della malattia e come terapia di mantenimento al termine della chemioterapia. Negli stadi iniziali di malattia e in determinati istotipi, la chemioterapia non è sempre necessaria e può contemplare schemi diversi.

Se in prima istanza non è possibile ottenere una citoriduzione ottimale a causa dell’estensione della malattia o perché l’intervento chirurgico risulta troppo complesso per essere sopportato, alla paziente viene proposta una diversa strategia terapeutica.

Tale strategia comprende una iniziale biopsia della malattia per avere l’esame istologico seguita dall’inizio della chemioterapia (in questo caso definita “neoadiuvante”). Dopo 3 cicli di terapia si procede alla chirurgia citoriduttiva (definita di intervallo). Questa modalità di trattamento ha il merito di costituire una valida alternativa terapeutica nelle pazienti che inizialmente non sono operabili radicalmente e riduce la complessità dell’intervento, ma è anche associata a una sensibile riduzione della possibilità di cura e deve quindi essere utilizzata solo nei casi in cui la malattia non risulta operabile al momento della diagnosi.

In pazienti selezionate, una recente opzione terapeutica è rappresentata dai PARP inibitori (olaparib, niraparib), una classe di farmaci che interferisce selettivamente con la capacità di correggere i difetti del DNA e che costituisce oggi una reale speranza di significativo miglioramento dei risultati terapeutici in questa malattia.

Il trattamento del tumore dell’utero è per definizione chirurgico, sia per il carcinoma dell’endometrio sia per le forme di sarcoma del corpo dell’utero. Altre strategie terapeutiche comprendono:

  • radioterapia
  • chemioterapia
  • ormonoterapia

La chirurgia

All’Istituto Nazionale Tumori di Milano il trattamento chirurgico standard per il carcinoma dell’endometrio allo stadio iniziale prevede l’asportazione dell’utero, delle tube di Falloppio, delle ovaie, e un prelievo bilaterale di linfonodi adiacenti all’utero definiti “sentinella”. Questi linfonodi costituiscono la prima stazione di drenaggio linfatico dell’utero e il loro esame permette di capire se il tumore ha iniziato a diffondersi verso altri organi e di personalizzare un’eventuale terapia post chirurgica. La rimozione completa dei linfonodi pelvici viene limitata ad alcuni casi in cui non sia possibile l’identificazione dei linfonodi sentinella.

L’approccio chirurgico per questa malattia, eccetto pochi casi, è di tipo laparoscopico: una tecnica mininvasiva che permette di operare attraverso piccole incisioni addominali. Questo tipo di chirurgia consente di ridurre i rischi operatori e il tempo di degenza post-operatoria delle pazienti.

Il trattamento per le forme di sarcoma del corpo dell’utero prevede l’asportazione dell’utero, delle tube di Falloppio e delle ovaie. L’asportazione dei linfonodi in questo caso è controversa, e ad oggi non è stato dimostrato alcun valore terapeutico della procedura.

In base a determinati parametri comprendenti: lo stadio della malattia, l’istotipo, il grado di differenziazione del tumore, l’estensione locale della malattia e l’eventuale coinvolgimento linfonodale, al fine di ridurre la probabilità di una ripresa locale e/o a distanza del tumore, alcune pazienti vengono indirizzate ad un trattamento adiuvante post chirurgico. Questi trattamenti possono prevedere la radioterapia pelvica e/o la brachiterapia endovaginale e la chemioterapia.

La radioterapia

La radioterapia è la somministrazione di raggi ad alta energia in grado di uccidere le cellule malate. Ne esistono di due tipi:

  • la radioterapia esterna: la radiazione, diretta verso la pelvi, arriva da una fonte posta all’esterno della paziente;
  • la radioterapia interna detta brachiterapia: la radiazione raggiunge l’utero passando da una sorgente posta in vagina.

La chemioterapia

La chemioterapia post-operatoria può migliorare la prognosi nelle pazienti a elevato rischio di recidiva di malattia sistemica. I farmaci maggiormente utilizzati sono i derivati del platino (cisplatino/carboplatino), il taxolo e l’antraciclina (epirubicina e adriamicina). La chemioterapia viene inoltre utilizzata nel trattamento della malattia metastatica.

L’ormonoterapia

L’ormonoterapia sistemica rappresenta un’opzione terapeutica quasi esclusivamente nei casi di tumore metastatico ed è a base di un derivato progestinico. I progestinici principalmente utilizzati sono:

  • Medrossiprogesterone acetato
  • Megestrolo acetato

Per il tumore della vulva trattamento si modula sullo stadio della malattia e sulle condizioni generali di salute della donna che nella maggior parte dei casi è al di sopra dei 75anni di età.
Le opzioni terapeutiche sono diverse e possono singole o combinate tra loro:

  • chirurgia
  • radioterapia
  • chemioterapia

La chirurgia

La chirurgia rappresenta il primo trattamento per i tumori confinati a livello loco-regionale e può prevedere diversi tipi di intervento:

  • ampia escissione locale: asportazione localizzata dei tessuti coinvolti;
  • vulvectomia radicale: asportazione dell’intera vulva;
  • eviscerazione pelvica: viene praticata se il tumore si è diffuso oltre la vulva e prevede l’asportazione non solo di cervice, utero e vagina, ma anche del retto, della parte inferiore del colon, o della vescica.

La chirurgia linfonodale della regione inguinale può prevedere per i primi stadi di malattia la sola biopsia del linfonodo sentinella o negli stadi avanzati l’asportazione radicale dei linfonodi inguinali e pelvici.

La radioterapia

La radioterapia, spesso combinata agli altri trattamenti, può avere un intento neoadiuvante (riduzione del volume tumorale), adiuvante (completamento del trattamento chirurgico) o palliativo (riduzione della sintomatologia), può essere erogata a fasci esterni o tramite brachiterapia (per via interna).

La chemioterapia

La chemioterapia viene utilizzata per lo più in associazione alla radioterapia e somministrata in tutti i casi considerati ad alto rischio di diffusione agli organi distanti o in cui sia già dimostrata la presenza di metastasi. Consiste nella somministrazione di farmaci, in genere per via endovenosa (più raramente per via intramuscolare o per bocca) e rappresenta un trattamento sistemico, perché il farmaco attraverso il circolo sanguigno si distribuisce in tutto l’organismo e particolar modo agli organi bersaglio.